domenica 4 settembre 2016

Solo un grosso spot: il dossier sul Jobs act che nasconde il flop

04/09/2016 di triskel182
Occasione persa – Per distrarre dal Pil arriva il primo monitoraggio sulla riforma.Senza annunci, in una giornata di intenso dibattito sulla non crescita dell’economia italiana, dal ministero del Lavoro arriva il primo “Quaderno di monitoraggio del mercato del lavoro” al tempo del Jobs Act. Novantacinque pagine per descrivere cosa è successo ai contratti di lavoro e all’occupazione nel 2015, incrociando i dati delle tre fonti istituzionali di riferimento: Inps, ministero del Lavoro e Istat. Appena pubblicato, le agenzie stampa si sono riempite di numeri positivi.
Il documento sarebbe potuto essere un ottimo strumento per verificare gli effetti della riforma. A uno sguardo qualitativo d’insieme, però, non c’è nessuna novità, a parte qualche dato sul lavoro in somministrazione e sui tirocini. Il testo è impegnato soprattutto a fornire una chiave di lettura ottimistica su quanto è avvenuto nel mercato del lavoro nel 2015. Il rapporto si apre con il dato sull’andamento del tasso di occupazione e disoccupazione, ma senza dettagli. Ad esempio, che l’occupazione del 2015 è assorbita quasi interamente da lavoratori over 50 (+229 mila) a fronte di un calo degli occupati tra i 25 e i 49 anni di 122 mila unità. Un trend che peraltro caratterizza tutti i 30 mesi del governo Renzi (da febbraio 2014 a luglio scorso ci sono 820 mila occupati ultracinquantenni in più e 338 mila tra i 25 e i 49 anni in meno), effetto soprattutto della riforma Forneno delle pensioni.
Il dossier parte dal classico dato sui nuovi contratti a tempo indeterminato attivati al netto dei cessati, comprese le trasformazioni di contratti a termine in tempo indeterminato. Ma senza sottolineare però che proprio le trasformazioni pesano sul dato complessivo per il 72%. Sarebbe utile saperlo visto che queste stabilizzazioni nel 41% dei casi non superano il triennio di vita. Non proprio un lavoro stabile. Manca poi il dettaglio sul tasso di sopravvivenza nel primo anno di queste trasformazioni, che si poteva desumere dalle “Comunicazioni Obbligatorie” del ministero stesso che però, guarda caso, non lo fa.
Una novità è invece il dato sui tirocini: la loro transizione in contratti a tempo indeterminato aumenta notevolmente dopo il 1° giugno 2015, probabilmente per la corsa ai generosi sgravi del governo (dimezzati nel 2016). Sul fronte della domanda di lavoro a tempo indeterminato da parte delle imprese arriva un dato interessante: il rapporto sottolinea come siano le imprese di piccole dimensioni quelle che hanno provveduto a stipulare contratti permanenti ex novo, non quindi come trasformazione di altre tipologie. In particolare, il 46% delle assunzioni permanenti (e il 49% di quelle con sgravio) si concentrano nelle micro imprese (1-9 addetti), solo il 13% in quelle tra i 10 e 19 dipendenti. L’effetto dell’abolizione dell’articolo 18 per le imprese intorno alla soglia dei 15 addetti non pare quindi essersi affatto verificato. Parliamo del cuore pulsante del Jobs act. Nessun dettaglio, invece, sulle cessazioni, e così non si capisce quale sia l’effetto occupazionale netto. I nuovi contratti hanno sostituito altri contratti e, se sì, di che tipo? Con i dati a sua disposizione, il ministero poteva indagare sull’incidenza dell’emersione del lavoro irregolare sull’aumento dei contratti, e invece nulla. Niente anche sulle retribuzioni dei nuovi assunti per tipologia d’impresa.
Altri due focus compongono poi il corposo rapporto: l’evoluzione dei contratti di collaborazione (co. co. co.) e il lavoro in somministrazione (lacunoso quello sul lavoro occasionale accessorio). Si scopre che dei collaboratori mono-committenti del 2014, solo il 41% ha avuto nel 2015 un contratto di lavoro dipendente. Il monitoraggio omette di riportare che – stando all’Inps – il 10% dei lavoratori con contratti di collaborazione nei sei mesi precedenti ha iniziato a lavorare con i voucher, i buoni lavoro orari nuova frontiera del precariato estremo. Sul lavoro in somministrazione (interinale) si nota il suo netto incremento sul totale degli occupati a tempo indeterminato avvenuto in dicembre: la quota aumenta dal 7 al 10% in poco meno di due mesi.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 03/09/2016.
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Insomma a differenza del racconta renziano le cose nel mondo reale vanno come dovevano andare e come sono andate in altri paesi dove sono state introdotte misure simili..... nessuna meraviglia che il pil e la crescita siano ferme.

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