volevo scrivere altro ma ......... questa è troppo grossa per
lasciarla passare anzichè parlarn subito: ci dice qualcosa del livello,
anche di disperazione, raggiunto dalla commissione che non sa più come
far ingoiare l'amaro rospo alla gente, noi, dell'integrazione a tappe
forzate verso un modello panatlantico.
di Felice Meoli | 22 maggio 2014
C’è una piega nascosta nel nuovo sistema di calcolo del Prodotto interno lordo europeo e degli Stati membri dell’Unione, il
famigerato Esa (European system of national and regional accounts)
2010, ampiamente raccontato con dovere qualche settimana fa e che entrerà in vigore dal prossimo autunno, come ricordato dall’Istat.
Bruxelles infatti ha deciso di dare una svecchiata al metodo di stima
della produzione nazionale per tener conto del nuovo contesto
economico, della globalizzazione e del crescente peso delle attività
intangibili (per esempio i brevetti) sulla ricchezza degli Stati. Ma
non è tutto. Perché uno degli aspetti più discutibili si trova in una
nota di pagina 15 del massiccio volume dell’Eurostat, intitolata
“Borderline cases”. E già il titolo è tutto un programma. In questo
breve paragrafo la Commissione Europea sente infatti la necessità di
chiarire il significato di “transazione”, vale a dire quel tipo di
interazione che interessa il calcolo del Pil. Ebbene, con tale
definizione si indica qualsiasi azione economica che implichi un mutuo
accordo tra le parti, indipendentemente dalla natura – lecita o
illecita – e dai soggetti – privati o istituzionali – dell’operazione
messa in atto. Questo vuol dire, specifica il documento, che le multe e le sanzioni
sono considerate transazioni e vanno a incremento del Pil perché si
fondano su un pregresso mutuo accordo – un contratto implicito – tra
l’istituzione e il cittadino (o in generale il soggetto economico) che
sottostà alla legge del territorio. Allo stesso modo la Commissione
Europea prescrive, esplicitamente e a scanso di equivoci, di considerare
come transazioni anche le azioni economiche illegali come l’acquisto, la vendita e lo scambio di droghe o di beni rubati, il contrabbando e la prostituzione.
Mentre non va considerato il furto in sé, in quanto chiaramente non si
fonda sul consenso reciproco. Considerato che, secondo il Procuratore
nazionale antimafia, il fatturato dello spaccio di droga vale quasi 25
miliardi di giro d’affari, mentre quello della prostituzione ne vale
almeno 10, è facile rendersi conto che il nostro Pil – anche al netto
dei problemi di rilevazione di questi fenomeni – potrebbe ricevere una
bella spinta. Tanto più che il prossimo anno, hanno calcolato gli
operatori del sociale, l’Expo attirerà a Milano almeno 15mila ragazze
più o meno sfruttate dal racket. Uno studio di alcuni economisti,
pubblicato l’anno scorso nella collana Temi di discussione di
Bankitalia, si spinge a stimare nel 12,6% del Pil (il dato si riferisce al 2008) il peso dell’economia criminale.
L’innovazione, insomma, ha il sapore di una rivoluzione (anche se François Lequiller,
director national accounts di Eurostat, rifiuta questa definizione e
parla invece di “necessario adattamento”). E alcuni Paesi europei si
sono già allineati. È stata la Spagna, per prima, a
fare i suoi conti autonomamente senza attendere le disposizioni di
Bruxelles. E le sue stime parlano di circa 10 miliardi di euro in più da
aggiungere al Pil iberico. Mentre poche settimane fa è stato il turno
della Polonia: Varsavia valuta almeno un punto
percentuale da aggiungere al calcolo del Pil in essere finora. Il tema è
controverso: da una parte c’è chi ritiene che sia necessaria
un’armonizzazione a causa del diverso profilo di legalità di tali
attività nel perimetro della Ue (si pensi ai Paesi Bassi per
quanto riguarda le droghe, ad esempio), dall’altra c’è chi sostiene che
in questa maniera lo Stato certifica il proprio fallimento. Offrendo inoltre il fianco, con una norma così disegnata, a interpretazioni politicamente scorrette.
Angel Laborda Peralta,
uno dei più noti economisti spagnoli e direttore della Fondazione
delle Casse di Risparmio (Funcas), ha detto, provocando ma non troppo,
che sic stantibus rebus dovrebbe essere incluso nel calcolo del
Pil anche il traffico di esseri umani, in quanto comporta una
transazione – azione economica – tra parti consenzienti (venditore e
compratore, mentre l’essere umano trafficato è solo oggetto dello
scambio). Vale la piena chiedersi se anche la corruzione
possa essere inclusa nella nuova valutazione del Pil. Si tratta senza
dubbio di una delle “eccellenze” del nostro Paese: secondo i calcoli di
Unimpresa – che a seguito degli ultimi scandali legati a Expo
ha riproposto l’allarme sul tema – tale fenomeno criminale ha sottratto
10 miliardi di euro l’anno negli ultimi dieci anni, per un totale di
100 miliardi di euro. A rigor di logica, se si considerasse la
corruzione come uno scambio di mercato (un servizio a fronte di denaro?)
con i nuovi sistemi di calcolo del Pil questa cifra non verrebbe
persa. Il boom per la nostra economia sarebbe di quelli importanti,
almeno sulla carta. Una buona notizia? Chissà. I costi della corruzione
(ma in generale delle pratiche illegali) non sono solo economici e
spesso non sono direttamente imputabili a bilancio. Un breve documento
di Riparte il futuro (campagna contro la corruzione promossa da Libera e Gruppo Abele)
lo spiega con grande chiarezza, citando tra gli altri l’allontanamento
degli investimenti stranieri, il rallentamento dell’innovazione e
della ricerca, l’esclusione delle forze sane del mercato. Chissà se il
prossimo 13 e 14 giugno, quando in Lussemburgo si terrà un importante
consesso dell’Eurostat dove saranno discussi i nuovi sistemi di calcolo,
discuteranno anche di questo.
p.s.
traetene
le vostre conseguenze e valutazione, le mie sono solo conferme di cosa
abbiamo di fronte e, soprattutto, chi....... dobbiamo forse pensare che
sarebbe meglio decidere quale delle mafie sia meglio che ci governi al
posto di questi che ci sono ora e che non sono nemmeno capaci di
guardarsi la punta delle proprie scarpe per allacciarsele?
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