giovedì 26 marzo 2015

Lapavitsas su Varoufakis, Syriza e il marxismo

Fonte: Soldato Kovalski
Pubblico un pezzo dell’intervista Greece: Phase Two fatta da Sebastian Budgen, editor di Historical Materialism, a Costas Lapavitsas, deputato di Syriza e uno dei principali esponenti della Piattaforma di Sinistra, per la rivista Jacobin Magazine. La parte che traduco qui è concentrata sul rapporto, teorico e pratico, tra l’anima propriamente marxista di Syriza e quella da “sinistra diffusa” che viene incarnata da Varoufakis. Nella parte che non ho tradotto, l’intervista si concentra in una lunga trattazione dell’ipotesi di uscita dall’euro delineata da Lapavitsas in Against The Troika (disponibile in formato elettronico sul sito dell’editore VersoBooks).
Parliamo di Varoufakis. Ovviamente, c’è stato un gran chiacchiericcio mediatico su Varoufakis, la sua personalità, il suo stile, e così via. Ci sono stati anche interventi più seri a suo riguardo, per esempio quello di Micheal Roberts che lo definisce “più eccentrico che marxista”. Prima di tutto, Varoufakis che ruolo aveva nella sinistra greca prima della vittoria di Syriza.
So che ci sono stati molti interventi su Varoufakis, il suo stile di vita e sue posizioni. Non voglio parlane, lo lascio ad altri, non ora, magari più in là si potrà parlare dell’impatto che ha avuto sulla politica e così via.
Per quanto riguarda la domanda se sia un marxista, un radicale o altro, consiglierei più attenzione nell’uso del termine “marxista”. Lo consiglio in particolare a chi si proclama marxista perché usa determinate parole e parla molto di marxismo, mentre nella sostanza dell’analisi svolta segue linee politiche ed economiche tra le più prosaiche che si possano immaginare. Facciamo più attenzione nel chiamare qualcuno “marxista”, grazie. Questa non è più politica da aule universitarie, è roba seria, ok?
Quindi, su Varoufakis: lo conosco da lungo tempo come economista, ovviamente. Non penso che si possa definire una persona di sinistra nel senso radicale del termine e di certo non un rivoluzionario, non nel senso in cui intendiamo questi termini in Grecia. Possiamo per dire sicuramente che appartiene alla “sinistra del centro” [in Grecia ci si riferisce comunemente alla socialdemocrazia come “centro”, in Italia diremmo “centrosinistra”, ndt].
È sempre stato di quella posizione, è sempre stato eterodosso e critico in economia, ha sempre rigettato l’economia neoclassica e le teorie neoclassiche nel suo lavoro, è sempre stato pronto a fornire consigli politici al di fuori degli schemi ed è sempre stato pronto a ragionare su alternative praticabili.
Questi sono tutti punti positivi. Quando si guarda alla sua storia, però, bisogna riconoscere che è stato anche un consigliere del governo di George Papandreou, il primo a introdurre i piani di salvataggio in Grecia, e che gli è rimasto legato per un significativo periodo di tempo. Per questo non penso che si possa chiamare “di sinistra” in maniera sistematica.
Lo stesso Varoufakis si posizione in un quadro keynesiano e si relazione con persone come  James Galbraith, apertamente keynesiano.

Voglio essere chiaro su questo. Keynes e il keynesismo, sfortunatamente, rimangono gli attrezzi migliori che abbiamo, da marxisti, per affrontare le questioni qui e ora. Ovviamente la tradizione marxista è molto forte nell’affrontare le questioni di medio e lungo termine, nel comprendere le dimensioni di classe e sociali dell’economia e della società in generale. In questi campi non c’è nessun paragone possibile.
Ma per affrontare le politiche nel qui ed ora, sfortunatamente, Keynes e il keynesismo rimangono un importante set di idee, concetti e strumenti anche per i marxisti. Questa è la realtà. Ci sono persone che usano le idee e non le riconoscono come keynesiane, non lo voglio commentare, ma succede.
Quindi non posso criticare Varoufakis perché si relazione ai keynesiani, perché l’ho fatto anch’io, apertamente ed esplicitamente. Se mi potessi mostrare un’altra idea di come fare le cose, sarei ben lieto di seguirla. Ti assicuro però, dopo molti decenni di lavoro sulla teoria economica marxista, che al momento non c’è altra possibilità. Quindi si, Varoufakis ha lavorato con i keynesiani, ma questo non è un problema.
Ovviamente stabilisci una differenza tra il marxismo come strumento analitico e il keynesismo come strumento politico, ma le due scuole hanno anche obiettivi diversi. Varoufakis lo dice esplicitamente: il suo obiettivo è salvare il capitalismo da se stesso. Non vedi questo come una linea di separazione significativa?
Certo! Keynes non è Marx, il keynesismo non è il marxismo. Ovviamente c’è una differenza tra di loro, è come dici te. Il marxismo riguarda il rovesciamento del capitalismo e punta al socialismo. È sempre stato così e rimarrà così. Il keynesismo no, riguarda il miglioramento del capitalismo e anche salvarlo da se stesso.
Comunque, quando si parla di questioni come la politica fiscale, il tasso di scambio, la politica bancaria e così via (questioni su cui la sinistra marxista deve necessariamente produrre politiche serie piuttosto che denunciare il mondo dalle proprie camerette) allora si scopre rapidamente che, piaccia o no, i concetti che usava Keynes e i concetti su cui lavorano i keynesisti sono indispensabili per costruire una strategia marxista.
Questo è quello che sto dicendo. Purtroppo non c’è altra via e quando i marxisti lo capiranno, allora le loro posizioni diventeranno realistiche e rilevanti.
Parliamo dei negoziati, nelle loro varie fasi. Penso che si possa correttamente dire, non so se sei d’accordo, che ci siano due interpretazioni su cosa sia successo durante i negoziati.
La prima interpretazione, dominante sia nella sinistra marxista sia nella stampa finanziaria (con l’eccezion di Krugman e Galbraith) è che i greci, Varoufakis e gli altri, hanno giocato a poker senza avere le carte buone, senza un sostegno per la propria strategia, e sono stati fondamentalmente battuti dall’Unione Europea e in particolare dai tedeschi.
L’altra interpretazione, che viene dai media pro-Varoufakis e pro-dirigenza di Syriza, è che i greci abbiano affrontato I negoziati molto bene e siano riusciti a ribaltare il tavolo almeno parzialmente mettendo i tedeschi sulla difensiva, guadagnando spazi di manovra che altrimenti non avrebbero avuto, legittimando il proprio discorso sull’impagabilità del debito e sull’inefficacia dell’austerità, e così via.
Non so se concordi su questa caratterizzazione delle interpretazioni dominanti. Se sì, dove si posizione la tua interpretazione?
Mi ritrovo in molto di quello che dici. Non mi voglio posizionare rispetto a queste due interpretazione, anche se sono concorde con te. Ti dirò cosa penso, poi starà ai lettori capire a quale lato sono più vicino.
Il mio punto principale, quello da cui parto, è che il governo è andato ai negoziati con un approccio […] per cui si può andare ai negoziati e domandare e lottare che cambiamenti significativi, inclusi la fine dell’austerità e la cancellazione del debito, rimanendo fermamente nei confini dell’unione monetaria.
Questo è il punto-chiave, è quello che nei miei lavori ho chiamato approccio dell’euro buono. Cioè che cambiando le politiche vincendo le elezioni, cambiando gli equilibri tra le forze politiche in Grecia e in Europa, si possa negoziare e trasformare l’unione monetaria e l’intero complesso europeo con le carte che porteremo al tavolo. Questo è l’approccio con cui sono andati ai negoziati, la strategia era determinata da questo.
Ora, ci sono elementi d’inesperienza, inevitabili, elementi di personalità, inevitabili e a cui abbiamo già alluso parlando di Varoufakis,  e così via. Sono elementi importanti. Comunque, il punto chiave non era quello. Il punto era la strategia e bisogna capirlo bene, perché se no ci si perde nelle discussioni sul poker, sui bluff e su questo e su quello e su quell’altro ancora.
Il governo aveva una strategia e l’ha applicata. E ha scoperto la realtà. La realtà è che, io penso, questa strategia è finita. Non ha funzionato. Sì, gli equilibri politici sono cambiati in Grecia, anche drammaticamente. Non sono solo il 40% dei voti al governo, ma anche l’80% di sostegno popolare, come dimostrano i sondaggi. Ma questo è contato molto poco nei negoziati.
Perché? Perché i limiti dell’unione monetaria sono quelli che sono. Non sono influenzabili a questo tipo di argomenti. Si tratta d’istituzioni molto rigide che portano con sé un’ideologia e un approccio alle cose. Un governo di sinistra in un piccolo paese non è abbastanza da far cambiare posizione al lato avverso.
Quindi, i greci sono andati con grandi speranze e sono caduti nella trappole che le istituzioni avevano preparato. La trappola fondamentalmente significa (a) taglio alla liquidità e (b) taglio ai finanziamenti per il governo. In questa maniera le istituzioni hanno fatto pesare il vantaggio strutturale nei confronti dei greci.
I greci non avevano alternative, non potevano fare nulla. Syriza non poteva fare nulla perché aveva accettato i confini dell’euro. Fin tanto che accetti i confini dell’euro, non puoi dare risposte efficaci. Questo è il motivo per cui alla fine è uscito quello che è uscito.
Hanno provato a fare qualcosa di diverso, dall’altra hanno puntato i piedi, specie i tedeschi. Verso la fine dei negoziati è stata una questione di giorni prima della chiusura delle banche. In questa situazione i greci hanno infine accettato un brutto compromesso.
[…]
Penso che molti fuori dalla Grecia abbiano difficoltà a capire sia l’idea che si possa rimanere attaccati all’euro per principio sia l’idea, che sembra molto ingenua , che questi governi social-liberali (neoliberisti, nel caso di Obama) potrebbero in qualche maniera essere obiettivamente alleati contro la Germania e i falchi dell’Unione Europea. Cosa ne pensi?
La mia lettura del quadro analitico, quando la guarda come economista politico, è completamente disastrosa, l’ho detto apertamente. L’ho detto già anni fa e penso che gli eventi delle ultime settimane abbiano confermato la mia posizione iniziale. Penso che, da marxisti, dobbiamo cominciare dall’economia politica della situazione, non dall’equilibrio tra le forze politiche. Purtroppo la sinistra greca e una gran parte della sinistra europea fanno al contrario.
Cioè, comincia con la geopolitica piuttosto che con l’economia politica?
Con la geopolitica e con la politica interna, con l’equilibrio delle forze politiche, a questo è stato ridotto il marxismo, purtroppo. E quando si comincia con la politica, interna o internazionale, è facile imbarcarsi in voli di fantasia. È facile iniziare a pensare che, in fondo, tutto sia politica e che, potendo cambiare l’equilibrio delle forze politiche, tutto sia raggiungibile.
Mi spiace, ma non è così, e non è marxismo. Come marxisti pensiamo che la politica derivi in ultima analisi dalla realtà materiale delle relazioni economiche e di classe. È un’affermazione di Marx, davvero profonda, se intesa correttamente e non meccanicamente. La conclusione è che questa frase significa che non tutto è conseguibile attraverso la politica.
Ed è esattamente quello che abbiamo visto. Perché? Perché l’economia politica dell’unione monetaria è schiacciante. Ci piaccia o no, l’Europa e la Grecia esistono dentro I confine di un’unione monetaria.
Purtroppo gran parte della sinistra marxista ha fatto finta di niente o ha capito male l’importanza del denaro. Non è sorprendente, perché la sinistra europea non comprende il denaro e la finanza. Fa finta di capire, ma non capisce.
Ripeto, ciò che è praticabile e ciò che non è determinato in ultima istanza dall’economia politica dell’unione monetaria. Dentro i confini del capitalismo europeo, ovviamente, il capitalismo è la questione dirimente. Syriza ha appena scoperto questo ed è ora che cominci a riconsiderare le cose e inizi a ripensare come modellare le politiche e l’approccio politico dentro questi confini.
Se Syriza vuole raggiungere altri obiettivi politici, deve cambiare il quadro istituzionale, non c’è altra via. Per cambiare il quadro, bisogna muoversi verso una rottura, non si può riformare il sistema euro. È impossibili riformare l’unione monetaria. È questo che è diventato chiaro.
Questa posizione non è come dire che non puoi fare nulla se non si è rovesciato il capitalismo? Cioè quello che dicono settori dell’estrema sinistra? Che è chiaramente un assurdo estremismo di sinistra. Non c’è bisogno di una rivoluzione socialista e non c’è bisogna di rovesciare il capitalismo per fare piccole cose. Ovviamente, miriamo al rovesciamento del capitalismo e ovviamente vorremmo vedere la rivoluzione socialista. Ma non è nelle carte disponibili al momento.
Per liberarsi dell’austerità non c’è bisogno della rivoluzione socialista in Grecia, non c’è bisogno di rovesciare il capitalismo. Ma certamente c’è bisogno di liberarsi dal quadro istituzionale dell’euro. Questa semplice cosa non è capita, o non è abbastanza apprezzata, dentro Syriza e dentro la sinistra europea, e questo va tragicamente avanti da anni.
E la ragione è che è circa la posizione di Antarsya e del KKE e che, a causa dell’equilibrio delle forze politiche, non si può concedere la vittoria su questi argomenti ai critici di sinistra?
In parte sì. È una malattia di lungo corso della sinistra greca, e devo dire anche in ciò che rimane della sinistra britannica, che avvelena questo livello di discorso.
Ma c’è qualcosa di più profondo, non è semplicemente il correntismo patologico. La vera questione, all’interno della sinistra che non fa parte di Syriza, è la paure del potere, mascherata dietro i paroloni. Nel caso del KKE si parla sempre di potere dei lavoratori, nel caso di Antarsya ogni frase riguarda il rovesciamento del capitalismo e l’instaurazione del comunismo. Tutto questo nasconde una profonda paura del potere!
Pensano che la gente non lo capisca ma è perfettamente ovvio che queste organizzazioni sono spaventate fino al midollo dalla prospettiva delle responsabilità e del potere. È per questo che assumono posizioni estremiste di sinistra.
C’è un modo di dire in Grecia per cui un uomo che non vuole sposarsi continua a fidanzarsi. È quello che i comunisti del KKE stanno facendo, non vogliono affrontare le questioni del qui e ora quindi parlano della rivoluzione.
In questo modo, non devi affrontare la questione dell’euro. Fai finta che la questione dell’euro sia una questione minore, laterale o cos’altro. Oppure rilanci la questione all’infinito: bisogna uscire dall’Unione Europea, dalla NATO, da questo, da quello e da quell’altro. In altre parole, rispondendo a tutto non dai una risposta specifica a nulla.
Una lettura più benevola potrebbe essere quella per cui sono preoccupati per gli effetti del potere di un governo di sinistra basandosi sugli esempi storici. Non hanno paure del potere in se quanto di distruggere l’autonomia dei movimenti sociali.
Potrei usare un detto inglese: se hai paura del fuoco, stai alla larga dalla cucina. La politica non è teorizzare, non discutere nelle camerette.
La politica riguarda la società per com’è, e la società Grecia vuole risposte qui e ora. Purtroppo, solo Syriza ha cominciato a fornirle a suo modo, ed è per questo che sta dove sta e le altre organizzazioni stanno dove stanno.
Ora ci sono i cosiddetti “quattro mesi d’aria”. C’è molta incertezza su come le varie riforme proposte dal governo saranno attuate in pratica, sia per le riforme redistributive promesse in campagna elettorale sia per la questione delle privatizzazioni, che sono una delle linee invalicabili.
Ora ci sono anche divisioni che tutto possono vedere dentro Syriza, col Comitato Centrale e così via. Come vedi questa fase, da qui all’estate?
Sarà un periodo molto duro per il governo e per Syriza. Un periodo molto duro. Ovviamente, è il risultato del compromesso siglato nei negoziati. Fondamentalmente i creditori e l’UE hanno intrappolato Syriza, il governo subirà costantemente pressioni per rispettare gli obiettivi fiscali.
A marzo scadono dei pagamenti sul debito molto pesanti che stanno già creando problemi, perché il sistema delle tasse sta collassando. Ad aprile il governo dovrà completare una revisione del processo in atto, ovvero una revisione del programma, e sarà un periodo infernale perché ovviamente le istituzioni monetarie saranno rigide.
E poi in maggio il governo dovrà prepararsi al negoziato di giugno per un nuovo accordo di lungo termine per finanziare in qualche maniera il debito e ottenerne la riduzione che Syriza ha promesso al popolo greco. Il tempo tra ora e giugno volerà veloce e sarà un tempo di frizioni e lotte costanti per evitare la crisi, o meglio un periodo in cui si affronterà la crisi giorno per giorno.
In questo contesto, dal mio punto di vista, il governo ha solo due opzioni reali se vuole sopravvivere e se vuole fare ciò per cui è stato eletto.
La prima è cominciare ad applicare il programma per quanto possibile. È di primaria importanza che le leggi vengano approvate dal parlamento dimostrando alla popolazione che intendiamo fare ciò che diciamo e che, anche nei limiti del patto con l’Europa, possiamo portare a casa dei risultati, anche infrangendo quei limiti per quanto possibile.
La seconda cosa che il governo dovrebbe fare, ovviamente, è imparare la lezione dal fallimento della strategia che ha portato al pessimo accordo di febbraio e inizia a preparare un approccio differente per i negoziati in giugno. Se ci si approccerà a questi negoziati con la stessa strategia, il risultato sarà lo stesso.
Quindi per te le questioni chiave su cui il governo può avanzare dovrebbero essere la riconnessione alla rete elettrica delle famiglie, forse la rivalutazione delle pensioni e dell’assistenza medica, ma non questioni che sono già state escluse come l’aumenti del salario minimo, la ri assunzione dei lavoratori pubblici e la rinegoziazione o reversione delle privatizzazioni?
Dobbiamo essere cauti e realistici. Il governo è in un angolo, per le ragioni che abbiamo discusso. Quattro mesi sono pochi. Il governo è anche senza esperienza e la macchina dello stato si muove lentamente ed è generalmente ostile al nuovo governo. L’accordo firmato non tende a grandi cambiamenti nell’immediato, di sicuro non quelli di un governo di sinistra.
Quindi, dobbiamo stabilire delle priorità tra ciò che si può fare e non si può fare in questo breve periodo per mantenere il sostegno popolare e dimostrare alla gente che non siamo come gli altri. Saremo giudicati in base a quali promesse riusciremo a mantenere nei prossimi quattro mesi.
Certamente, la prima cosa è la legislazione sulla crisi umanitaria, e su questo abbiamo già iniziato a lavorare. Sono molto importanti anche le leggi per affrontare i debiti nei confronti del settore pubblico e la questione delle tasse. L’aumento del salario minimo, anche se rimane un nostro impegno che dovremo onorare, può attendere quattro mesi, non è la fine del mondo.
Bisogna essere attenti quando si scelgono le priorità. L’UE e le altre istituzioni faranno pressione per non introdurre le cose che ho menzionato, dobbiamo rimanere fermi nel respingere queste pressioni. Se non lo facciamo, siamo finiti.
Per leggere tutta l’intervista (in inglese) clicca qui.
p.s.
l'intervista è tradotta in maniera imprecisa ma il senso c'è tutto!!!! e da un chiarissimo quadro della situaizone di confusione e di dilettantismo dovuto a inesperieza e limiti oggettivi del governo greco...
ora una chicca: questo è Draghi; ascoltatelo con attenzione e leggete i sottotitoli: chiaro come il sole!


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