Nonostante le tante rassicurazioni date, la guerra fra valute, che é
solo una parte (seppur rilevante) della più generale guerra tutta
"finanziaria" che dal 2007 sconvolge il pianeta, continua..... i paesi
che contano (Cina, Giappone, USA, GB, ecc.) continuano a giocare in
proprio: stampano moneta svalutandola. Ciò comporta .... cosa? Che le
esportazioni migliorano e di droga la domanda estera in attesa che
quella interna riprenda grazie al pompaggio della moneta nazionale,
seppur svalutata, all'interno del paese. Se l'azione fosse concertata
tutti ne guadagneremmo ma dato che siamo in una società di mercato dove
il singolo, non conta se sia l'individuo o uno stato, agisce per i
propri interessi il risultato é lo.. spencerismo ossia la selezione del
più forte a scapito del più debole che soccombe, si badi bene: non perde
ma soccombe proprio, muore. Da Adam Smith in poi tutto era previsto: il
laissez faire é esattamente questo, null'altro; hanno voglia a dire che
esiste una equazione "democrazia=mercato" perché é una contraddizione
stridente dato che non ci può essere un mercato dove tutti decidono
collaborativamente perché non é un mercato, anzi sarebbe un
"collettivo" cosa questa che é vista come demoniaca dai sacerdoti del
liberismo.....che presuppone esattamente il contrario con la regola che
il soccombente, indivuduo o impresa o stato che sia, sparisce dalla
scena o si "ristruttura" tagliando quello che non é essenziale.... cosa
che stanno puntualmente facendo, in europa (italia compresa) che é il
soccombente in questa guerra!!
Detto quanto sopra ora vorrei che
leggeste questo divertissement di Salvatore Cannavò pubblicata sul fatto
del 30/1/2013 che qui vi riproduco pari pari riprendendolo dal blog "spogli":
il Fatto 30.1.13
Se Marx e Keynes vanno a Davos
di Salvatore Cannavò
Il
giornale inglese, The Guardian, si è divertito a immaginare un
dibattito di eccezione, al vertice di Davos, con un panel immaginario
composto dal meglio del pensiero economico del Novecento. Karl Marx,
John Maynard Keynes, Milton Friedman e Fritz Schumacher riuniti attorno a
un tavolo, tra le montagne svizzere rifugio del simposio
internazionale, e coordinati dall'elegante Christine Lagarde, direttore
generale del Fondo monetario internazionale. Quattro diverse
impostazioni economiche, quattro diverse visioni della politica e della
società: da quella comunista a quella ultra-liberale, dal riformismo
temperato all’ambientalismo visionario, incaricate di offrire una
soluzione alla crisi globale. Si tratta di un gioco, ovviamente, ideato
da Larry Elliott, capo economista di the Guardian, dove lavora dal
1988, e in cui i protagonisti vengono messi a proprio agio nello
snocciolare le loro idee di fondo, quelle decisive.
E COSÌ apre le
danze Karl Marx che tuona nella sua denuncia: “La classe capitalista
riunita a Davos sembra incapace di riconoscere che le crisi sono
inevitabili in un'economia globalizzata. C'è una tendenza a
sovra-investire, a sovra-produrre e, quindi, a provocare una caduta del
tasso di profitto, che, come sempre, i padroni hanno cercato di
contenere tagliando i salari e creando un esercito di riserva del
lavoro”. Lagarde lo guarda preoccupata: “È un’analisi cupa, Karl, i
salari stanno crescendo abbastanza velocemente in alcune zone del
mondo, come la Cina”. Ma Marx non demorde e spiega che “è vero che le
economie dei mercati emergenti stanno crescendo rapidamente ma nel
tempo anche loro saranno colpiti dagli stessi fenomeni”. Lagarde non
appare convinta ma concorda comunque su un punto: la diseguaglianza è
una minaccia. Quindi cede la parola al più “malleabile” Keynes,
l’ispiratore della risposta americana, il New Deal, alla Grande crisi
del 1929. “Pensi anche tu, Maynard, che le cose siano così sconfortanti
come dice Karl? ” chiede la francese. “No, io non lo credo Christine”,
risponde Keynes. “Io penso che il problema sia serio ma risolvibile.
L’ultima volta in cui ci siamo trovati ad affrontare una crisi di tale
portata abbiamo risposto con un allentamento della politica monetaria e
con l’utilizzo di lavori pubblici per aggregare la domanda”. Keynes
rimprovera agli attuali governi del mondo di non rispettare
“l’equilibrio tra politica fiscale e monetaria” mentre “il settore
finanziario resta largamente non riformato e la domanda aggregata è
debole perché i lavoratori non ricevono un’adeguata porzione dei
guadagni di produttività”. “L’economia è ferma al passato – è
l’impietosa sentenza - come se la fisica non si fosse mossa dai tempi
di Keplero”. IDEE RIBADITE, e rilanciate oggi dai suoi seguaci, come
Paul Krugman anche se con scarso successo. Ma, nel nostro dibattito, è
difficile che il liberista Milton Friedman, padre della “scuola di
Chicago”, possa convenire con tale impostazione, come sottolinea senza
esitazioni la stessa Lagarde. Friedman, “a differenza di Maynard”
sostiene di non poter sostenere “misure che rafforzino il potere di
contrattazione dei sindacati” e si considera per nulla appassionato “di
lavori pubblici come risposta al crollo economico”. Però, spiega,
“sosterrei certamente quello che Ben Bernanke (il presidente della
banca centrale Usa, la Fed, ndr.) ha fatto con la politica monetaria
negli Usa e sosterrei iniziative anche più drastiche se si rivelassero
necessarie”. ”Ad esempio? ”, chiede Lagarde. “In circostanze estreme
vorrei favorire politiche che annacquino la distinzione tra politica
monetaria e fiscale. E' questo che intendo quando dico che bisogna
lanciare gocce di denaro nell'economia”.
Infine è la volta di Fritz
Shumacher, l'autore di “Piccolo è bello” (1973) che potrebbe essere
annoverato tra gli ispiratori della teoria della “de-crescita”. “Sono
molto turbato dal modo in cui il dibattito è andato avanti” risponde a
Lagarde. “C’è un'ossessione per la crescita a tutti i costi, a
prescindere dai costi ambientali. È spaventoso che così poca attenzione
sia stata dedicata al riscaldamento globale, ed è quasi criminale la
negligenza dei governi a non utilizzare tassi di interesse super-bassi
per investire nelle tecnologie verdi. Come in passato, le recessioni
hanno collocato le questioni ecologiche in fondo all'agenda politica.
Quando le cose vanno bene i politici si dicono in favore dello sviluppo
sostenibile ma gli impegni vengono dimenticati non appena la
disoccupazione torna a crescere. Siamo all’economia del manicomio”
conclude Shumacher.
L’ultima parola spetta a Keynes che si dice
sostanzialmente d’accordo: “Se dovessi consigliare Roosevelt oggi, farei
appello a un “New Deal verde”. Trovo difficile immaginare un mondo
senza crescita ma Fritz ha ragione, abbiamo bisogno di una crescita più
intelligente e più pulita. Come tu stessa hai detto la scorsa
settimana, Christine, se continuiamo con questo ritmo, la prossima
generazione sarà “tostata, arrostita, fritta e alla griglia”. Detto da
Keynes, è più di una profezia.
Sarebbe bello un confronto
del genere, vero? Soprattutto se fosse tenuto nel tempio "legale" di un
gruppo di potere come l'aspen institute emanazione di quella lobby
internazionale che va sotto il nome di "trilaterale" di cui accennai
qualche post fa.... se ricordate
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