mercoledì 30 gennaio 2013

la bancarotta del mercato

Nonostante le tante rassicurazioni date, la guerra fra valute, che é solo una parte (seppur rilevante) della più generale guerra tutta "finanziaria" che dal 2007 sconvolge il pianeta, continua..... i paesi che contano (Cina, Giappone, USA, GB, ecc.) continuano a giocare in proprio: stampano moneta svalutandola. Ciò comporta .... cosa? Che le esportazioni migliorano e di droga la domanda estera in attesa che quella interna riprenda grazie al pompaggio della moneta nazionale, seppur svalutata, all'interno del paese. Se l'azione fosse concertata tutti ne guadagneremmo ma dato che siamo in una società di mercato dove il singolo, non conta se sia l'individuo o uno stato, agisce per i propri interessi il risultato é lo.. spencerismo ossia la selezione del più forte a scapito del più debole che soccombe, si badi bene: non perde ma soccombe proprio, muore. Da Adam Smith in poi tutto era previsto: il laissez faire é esattamente questo, null'altro; hanno voglia a dire che esiste una equazione "democrazia=mercato" perché é una contraddizione stridente dato che non ci può essere un mercato dove tutti decidono collaborativamente perché non é un mercato, anzi sarebbe un "collettivo"  cosa questa che é vista come demoniaca dai sacerdoti del liberismo.....che presuppone esattamente il contrario con la regola che il soccombente, indivuduo o impresa o stato che sia, sparisce dalla scena o si "ristruttura" tagliando quello che non é essenziale.... cosa che stanno puntualmente facendo, in europa (italia compresa) che é il soccombente in questa guerra!!
Detto quanto sopra ora vorrei che leggeste questo divertissement di Salvatore Cannavò pubblicata sul fatto del 30/1/2013 che qui vi riproduco pari pari riprendendolo dal blog "spogli":
il Fatto 30.1.13
Se Marx e Keynes vanno a Davos
di Salvatore Cannavò


Il giornale inglese, The Guardian, si è divertito a immaginare un dibattito di eccezione, al vertice di Davos, con un panel immaginario composto dal meglio del pensiero economico del Novecento. Karl Marx, John Maynard Keynes, Milton Friedman e Fritz Schumacher riuniti attorno a un tavolo, tra le montagne svizzere rifugio del simposio internazionale, e coordinati dall'elegante Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale. Quattro diverse impostazioni economiche, quattro diverse visioni della politica e della società: da quella comunista a quella ultra-liberale, dal riformismo temperato all’ambientalismo visionario, incaricate di offrire una soluzione alla crisi globale. Si tratta di un gioco, ovviamente, ideato da Larry Elliott, capo economista di the Guardian, dove lavora dal 1988, e in cui i protagonisti vengono messi a proprio agio nello snocciolare le loro idee di fondo, quelle decisive.
E COSÌ apre le danze Karl Marx che tuona nella sua denuncia: “La classe capitalista riunita a Davos sembra incapace di riconoscere che le crisi sono inevitabili in un'economia globalizzata. C'è una tendenza a sovra-investire, a sovra-produrre e, quindi, a provocare una caduta del tasso di profitto, che, come sempre, i padroni hanno cercato di contenere tagliando i salari e creando un esercito di riserva del lavoro”. Lagarde lo guarda preoccupata: “È un’analisi cupa, Karl, i salari stanno crescendo abbastanza velocemente in alcune zone del mondo, come la Cina”. Ma Marx non demorde e spiega che “è vero che le economie dei mercati emergenti stanno crescendo rapidamente ma nel tempo anche loro saranno colpiti dagli stessi fenomeni”. Lagarde non appare convinta ma concorda comunque su un punto: la diseguaglianza è una minaccia. Quindi cede la parola al più “malleabile” Keynes, l’ispiratore della risposta americana, il New Deal, alla Grande crisi del 1929. “Pensi anche tu, Maynard, che le cose siano così sconfortanti come dice Karl? ” chiede la francese. “No, io non lo credo Christine”, risponde Keynes. “Io penso che il problema sia serio ma risolvibile. L’ultima volta in cui ci siamo trovati ad affrontare una crisi di tale portata abbiamo risposto con un allentamento della politica monetaria e con l’utilizzo di lavori pubblici per aggregare la domanda”. Keynes rimprovera agli attuali governi del mondo di non rispettare “l’equilibrio tra politica fiscale e monetaria” mentre “il settore finanziario resta largamente non riformato e la domanda aggregata è debole perché i lavoratori non ricevono un’adeguata porzione dei guadagni di produttività”. “L’economia è ferma al passato – è l’impietosa sentenza - come se la fisica non si fosse mossa dai tempi di Keplero”. IDEE RIBADITE, e rilanciate oggi dai suoi seguaci, come Paul Krugman anche se con scarso successo. Ma, nel nostro dibattito, è difficile che il liberista Milton Friedman, padre della “scuola di Chicago”, possa convenire con tale impostazione, come sottolinea senza esitazioni la stessa Lagarde. Friedman, “a differenza di Maynard” sostiene di non poter sostenere “misure che rafforzino il potere di contrattazione dei sindacati” e si considera per nulla appassionato “di lavori pubblici come risposta al crollo economico”. Però, spiega, “sosterrei certamente quello che Ben Bernanke (il presidente della banca centrale Usa, la Fed, ndr.) ha fatto con la politica monetaria negli Usa e sosterrei iniziative anche più drastiche se si rivelassero necessarie”. ”Ad esempio? ”, chiede Lagarde. “In circostanze estreme vorrei favorire politiche che annacquino la distinzione tra politica monetaria e fiscale. E' questo che intendo quando dico che bisogna lanciare gocce di denaro nell'economia”.
Infine è la volta di Fritz Shumacher, l'autore di “Piccolo è bello” (1973) che potrebbe essere annoverato tra gli ispiratori della teoria della “de-crescita”. “Sono molto turbato dal modo in cui il dibattito è andato avanti” risponde a Lagarde. “C’è un'ossessione per la crescita a tutti i costi, a prescindere dai costi ambientali. È spaventoso che così poca attenzione sia stata dedicata al riscaldamento globale, ed è quasi criminale la negligenza dei governi a non utilizzare tassi di interesse super-bassi per investire nelle tecnologie verdi. Come in passato, le recessioni hanno collocato le questioni ecologiche in fondo all'agenda politica. Quando le cose vanno bene i politici si dicono in favore dello sviluppo sostenibile ma gli impegni vengono dimenticati non appena la disoccupazione torna a crescere. Siamo all’economia del manicomio” conclude Shumacher.
L’ultima parola spetta a Keynes che si dice sostanzialmente d’accordo: “Se dovessi consigliare Roosevelt oggi, farei appello a un “New Deal verde”. Trovo difficile immaginare un mondo senza crescita ma Fritz ha ragione, abbiamo bisogno di una crescita più intelligente e più pulita. Come tu stessa hai detto la scorsa settimana, Christine, se continuiamo con questo ritmo, la prossima generazione sarà “tostata, arrostita, fritta e alla griglia”. Detto da Keynes, è più di una profezia.

Sarebbe bello un confronto del genere, vero? Soprattutto se fosse tenuto nel tempio "legale" di un gruppo di potere come l'aspen institute emanazione di quella lobby internazionale che va sotto il nome di "trilaterale" di cui accennai qualche post fa.... se ricordate

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