di Redazione Il Fatto Quotidiano | 25 marzo 2014
Avrebbe
un nome il misterioso motociclista al soldo dei servizi che, secondo
la recente rivelazione dell’Ansa, avrebbe partecipato all’agguato di
via Fani per proteggere la fuga dei brigatisti dopo il sequestro di Aldo Moro. Lo scrive la Stampa e il nome è quello di Antonio Fissore,
originario di Bra in provincia di Cuneo, morto a Firenze nell’agosto
del 2012 a 67 anni. Fotografo, regista tv, esperto di comunicazione, per
un certo periodo anche commesso in un negozio di dischi nel quartiere
San Paolo a Torino. Ma in cantina deteneva armi e una
copia di Repubblica datata 16 marzo 1978, l’edizione straordinaria
mandata in edicola il giorno del sequestro del presidente della Dc,
ucciso 55 giorni dopo. Secondo il quotidiano torinese, “sarebbe lui l’agente X
che, in sella a una Honda blu con un ‘collega’, avrebbe partecipato al
sequestro Moro, proteggendo la fuga dei killer delle Br”. Spianando una
mitraglietta contro un testimone, indicendolo ad allontanarsi. Anche
se, è sempre la Stampa a riportarlo, la moglie separata Franca Faccin
lo difende: “Nel ’78 era a casa con noi, a Bra, mai stato nei servizi”.
Fissore
è descritto come un uomo “alto 1,90, calvo, baffi, distinto”. A
segnalare la sua presenza in via Fani una lettera anonima arrivata alla
redazione torinese nel 2009, scritta dal sedicente “collega” che era
con lui sulla stessa moto al momento del sequestro e del massacro dei
cinque uomini della scorta. “Quando riceverete questa lettera
sarano saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie
disposizioni”, chiarisce il mittente. Non fa il nome del “collega”, ma
offre indicazioni per identificarlo come il “marito” della commessa del
negozio. Il giornale gira la lettera alla Digos di Torino, che rintraccia Fissore.
Il
24 maggio 2012 scatta la perquisizione nella villetta di Bra. In una
scatola di cartone ci sono due pistole, una cecoslovacca e e una
semi-automatica Beretta. C’è anche una copia di Repubblica del 16 marzo
1978. E, scriva ancora la Stampa, “una busta con un foglio dell’ex parlamentare dc Franco Mazzola,
nel ’78 sottosegretario alla Difesa, ritenuto uno dei depositari dei
segreti del caso Moro”. La conseguente indagine per «incauta custodia»
delle armi viene archiviata dalla procura di Alba quando Antonio Fissore
muore, tre mesi dopo la perquisizione. I risvolti legati al caso Moro
prendono la via della Procura di Torino e da qui della Procura di Roma,
dove tutto viene definitivamente archiviato. A
ritirare fuori la storia, nei giorni scorsi, è l’ex poliziotto Ernesto
Rossi, che racconta al giornalista dell’Ansa Paolo Cucchiarelli
l’inchiesta finita in nulla: “Non so bene perché – racconta Rossi – ma
questa inchiesta trova subito ostacoli”.
Trentasei anni dopo
la strage di via Fani spuntano nuove suggestioni e piste inedite.
Secondo le quali, pezzi dello Stato si sarebbero dati da fare per far
sparire il politico del “compromesso storico” Dc-Pci non solo depistando
le ricerche del prigioniero durante i 55 giorni del sequestro, ma
addirittura agevolando le Br durante il sanguinoso assalto di via Fani.
Un agguato – se lo scenario disegnato fosse quello vero – evidentemente
conosciuto con scongruoanticipo. Ma la ricostruzione si basa su
persone defunte che non possono confermarla né smentirla. Morto il
presunto autore della lettera anonima, morto Fissore, morto il
colonnello del Sismi Camillo Guglielmi – presente con certezza in via
Fani quella mattina – ai cui ordini i due avrebbero agito.
Alla Camera è intervenuto sul punto il vicepresidente dei deputati Pd Gero Grassi:
“L’estraneità dal commando brigatista della moto Honda presente a via
Fani la mattina del 16 marzo 1978 è stata accertata dalla
magistratura”, ha affermato. “Questo è un punto fermo, un fatto
innegabile alla luce del quale considerare anche le recenti novità”.
Grassi cita ’audizione del 9 marzo 1995 della Commissione Stragi ai pm Franco Ionta, Antonio Marini e Rosario Priore: il testimone Alessandro Marini
disse che “un motociclista a bordo di una Honda aprì il fuocò, alcuni
proiettili colpirono il suo ciclomotore; il giudice Santiapichi giudicò
la testimonianza ‘una versione lucida degli eventi”. L’Honda in via
Fani c’è e i brigatsti confermano più volte che i centauri non sono dei
loro, anche se in tante altre circostanze hanno “ammesso il fatto
senza identificare gli autori”. Il pm Marini concluse: “Noi riteniamo
che se c’è la moto Honda, e vi deve essere, secondo la sentenza passata
in giudicato, essa evidentemente nasconde una circostanza diversa
rispetto all’organigramma brigatista. In sostanza si presuppone che vi
potessero essere altre persone di supporto all’azione brigatista, che
non fossero membri dell’organizzazione “.
p.s.
io
non so se è l'ennesimo depistaggio e nemmeno so se mai si riucirà a
togliere il velo o meglio... l'omertà mafiosa che ha legato gli alleati
atlantici, i nostri politici, i servizi deviati e i tanti burattinai che
ci hanno messo le mani: di una cosa ero e sono certo ossia che quanto
prefigurato da Moro "non doveva avvenire".... il PCI e la DC "dovevano"
restare antitetici e quell'incrocio della storia di questo paese non
doveva arrivare; provate a immaginare se invece fosse avvenuto come
sarebbe stata l'italia: peggiore di questa sicuramente no!
Nessun commento:
Posta un commento