di Federico Plantera dal Fatto Quotidiano del 5 febbraio 2015
A Yanis Varoufakis piace la storia. Ormai pare scontato, considerato che il
ministro delle Finanze greco continua da giorni a fare riferimento ad
eventi del Novecento per provare a far capire meglio quale sia la
situazione della Grecia e cosa si dovrebbe fare per
trovare una soluzione comune, veloce e indolore (per loro). Purtroppo,
dall’altra parte, ha degli interlocutori che non dimostrano di essere
esattamente sulla stessa lunghezza d’onda, e di credito, del
responsabile economico del nuovo governo Tsipras: tra
il presidente della Bundesbank e il ministro delle Finanze tedesco, i
“no” alle ipotesi di rinegoziazione del debito e degli accordi e
scadenze che legano la Grecia alla troika si sono fatti sentire con
puntualità mitteleuropea. Weidmann e Schäuble non fanno sconti, e c’era
da aspettarselo.
Nonostante il tempo incalzi, le dichiarazioni e
le conferenze stampa che seguono il tour di Varoufakis e Tsipras in
giro per l’Europa per capire nell’immediato quali siano gli amici e
quali i nemici lasciano il dibattito, almeno per il momento, sul piano
delle schermaglie verbali. Varoufakis, tuttavia, proprio oggi pare aver messo a segno un colpo da 100 punti:
il ministro ha dichiarato, infatti, che “la Germania sa bene che cosa
può succedere quando si scoraggia troppo a lungo una nazione
orgogliosa e la si espone a trattative e preoccupazioni di una crisi
del debito deflattiva, senza luce alla fine del tunnel: questa nazione
prima o poi fermenta”. Il riferimento a Weimar e
all’ascesa del nazionalsocialismo è chiaro, e sia a Francoforte che a
Berlino siamo abbastanza sicuri che sia stato capito e recepito.
Le
circostanze storiche (non guardiamo solo all’economia) erano
profondamente diverse, ed è abbastanza improbabile che ad Atene accada
qualcosa del genere. Non è di poca importanza però, paradossalmente, il
fatto che la situazione attuale abbia invertito i ruoli che Grecia e
Germania hanno avuto nel secolo scorso quando (già) si parlava di
debiti, saldi e restituzioni. I due Paesi si sono scontrati in due
occasioni su questi temi: nel 1953, quando il London Debt Agreement (“accordo sul debito di Londra”, ndr) riformulò le condizioni di rimborso dei debiti accumulati dalla Germania
dal 1919 al 1945 – perlopiù verso le potenze occidentali vincitrici –
regalando ai tedeschi uno sconto approssimativamente del 50% sul totale
da restituire; nel 1990, quando il rimanente debito
tedesco, invece di essere saldato definitivamente come previsto dagli
accordi di Londra, praticamente si dissolse nel nulla per favorire la
ricostruzione di uno Stato unificato da soli pochi mesi. La Germania,
nonostante ciò, dal 1991 pagò a rate obbligazioni per
un valore di 239,4 milioni di marchi tedeschi, le uniche rimaste in
piedi secondo i termini del trattato di Londra, e cominciò a stipulare
accordi bilaterali nei confronti di alcuni Paesi – in particolare nei
confronti di quelli che avevano fatto parte del blocco sovietico
e che, di conseguenza, erano stati ignorati dagli accordi del 1953 – a
titolo di rimborso e compensazione. La Grecia, in entrambi i casi, si
oppose agli sconti ai tedeschi, pur rimanendo inascoltata dagli alleati
in nome del perseguimento di un bene superiore: la riabilitazione della
Germania e il suo protagonismo nella realizzazione del progetto
europeo.
Sebbene, da un lato, la Grecia possa apparire al centro
di uno dei più classici contrappassi danteschi, allo stesso tempo va
detto che i tedeschi non sembrano avere una memoria particolarmente
lunga e allenata. Il problema del debito greco e la sua soluzione fanno
parte di quella che è stata la storia della Germania stessa. Possibile
che a nessuno, dalle parti di Berlino, venga in mente di dare
un’occhiata alle proprie spalle e cercare di arrivare a una soluzione
più morbida e condivisa, invece che continuare a “essere d’accordo sull’essere in disaccordo”
(cit. Schäuble oggi, durante la conferenza stampa con Varoufakis) con
gli ellenici? Anche in questo caso ci sarebbe un risultato più grande
all’orizzonte: la permanenza della Grecia nell’eurozona, e ancor di più
nell’Unione, non è certamente cosa da poco.
p.s.
se
l'articolista ha ragione, e credo che sia nel giusto, il futuro della UE
liberista (non del sogno europeo) è nelle mani non di chi deve
restituire soldi ma dei suoi creditori.... temo, però, che finchè non
vedranno aumentare l'onda della protesta agli altri paesi europei che si
trovano nelle stesse condizioni de greci o, per dirla meglio, finchè in
Spagna non vincerà Podemos e in Francia Lepen a Berlino continueranno a
fare orecchie da mercante e a tenere l'attenzione fissa sui conti e sui
profitti: una cosa da ragioniere non certo da prima economia del
vecchio mondo..... d'altronde da bravi liberisti quali sono non possono fare altrimenti visto che la situazione li favorisce ancora.
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