lunedì 13 aprile 2015

Derivati, sulla montagna in circolazione litigano già per non restare col fiammifero in mano,

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 13 aprile 2015 a firma di
Come è ampiamente noto ormai, quando si tratta di mettere regole alla “libera” operatività di banche e finanziarie, necessaria a limitare certi rischi, loro non ne vogliono sapere, e le loro potentissime lobby hanno fin qui sempre vinto ogni partita nel Congresso, trovando sempre ogni maggioranza necessaria a far desistere chiunque volesse mettere più controlli.
Adesso però ad agitarsi per chiedere a Daniel Tarullo, l’uomo della Federal Reserve preposto alla supervisione delle regole sulle attività finanziarie un intervento utile a limitare qualche rischio sono proprio i due maggiori esponenti americani nel mercato dei derivati finanziari: il colosso bancario Chase Bank e la Black Rock, leader globale negli investimenti e gestioni finanziarie. La loro preoccupazione è dovuta al fatto che, secondo molti operatori del settore, le Clearinghouses, cioè le piattaforme di transito controllo e garanzia delle principali operazioni sui derivati (vedi nota 1) in realtà potrebbero molto presto diventare esse stesse la miccia capace di dare il via alla nuova grande crisi.
Questo perché, come è ormai convinto persino Thomas Hoenig, vice presidente della Federal Deposit Insurance Corp., facendo semplicemente affidamento su queste istituzioni, invece che attivare adeguati filtri, si è finito per concentrare il rischio su poche entità istituzionali (le Clearinghouse) e sarebbe perciò sufficiente il crollo di una di queste per coinvolgere nella crisi un gran numero di banche e avviare quella tremenda reazione a catena già vista nel 2008. Quando una operazione è transitata attraverso una Clearinghouse si ritiene che quella operazione sia sicura e coperta da rischio perché sia le banche che effettuano le transazioni sia le stesse Clearinghouses, garantiscono con specifico capitale accantonato, e in caso estremo anche col proprio capitale sociale, la copertura del rischio.
Ma questo potrebbe diventare il punto di debolezza, e di rottura, se il capitale a disposizione per coprire il rischio diventasse insufficiente.
Benché a seguito della crisi siano state emanate nuove regole che impongono una maggiore capitalizzazione delle banche (poi controllate dai periodici “stress test”) è assai poco probabile che i capitali accantonati a copertura dei rischi derivanti da queste operazioni siano sufficienti a coprire l’intero rischio qualora una reazione a catena si instauri.
Ora, benché siano le stesse maggiori banche a contribuire e detenere il capitale delle Clearinghouses, esse (o perlomeno quelle che ne determinano l’indirizzo) non ritengono che sia necessario incrementare il capitale delle Clearinghouses, perché queste svolgono solo funzioni di controllo sulle operazioni in transito, e non di trading.
Sia come sia, il fatto è che in un mercato dei derivati finanziari che continua ad allargarsi (il solo mercato degli Swaps si calcola che valga qualcosa attorno ai 700 trilioni di dollari, ovvero 700mila miliardi) sembra del tutto ridicola questa diatriba tra le banche e le loro controllate clearinghouse su chi debba accantonare qualche centinaio di milioni in più, col rischio di perderli, solo per far credere che il mercato dei derivati finanziari è sotto controllo.
Palesemente non lo è, ma questa diatriba ci fa almeno capire che la miccia della prossima crisi è già accesa, l’unica cosa ancora ignota e’ quanto sia lunga la miccia.
(1) Clearinghouses per derivati: piattaforme istituzionali per lo di scambio dei derivati finanziari tra le banche. Incluse nella riforma “Dodd-Frank” del 2009 per dare maggiore sicurezza e trasparenza a queste transazioni finanziarie, ma dopo la sconfitta elettorale dei democratici nel 2010, la riforma non ha potuto essere completata.  
Le maggiori Clearinghouse operanti oggi sono CME Group Inc., Intercontinental Exchange Inc. e LCH.Clearnet Group Ltd.
p.s.
conoscendo un minimo di storia economica del capitalismo quanto raccontato nell'articolo non è cosa nuova; già nel '29 (in realtà si data a questo anno la "crisi" ma essa cominciò prima, molto prima..... fra il 1917 e il 1918 almeno con la crisi di liquidità delle Save & Loan che erano fuori dal sistema della FED, banca privata di proprietà di alcuni gruppi finanziari che lavora in concessione per conto dello Stato.. il controllato che controlla il controllore .... nulla di nuovo quindi, e che facevano gola ai vari Rockfeller e co. per la montagna di denaro che gestivano per conto di famiglie, lavoratori ecc., e che, causa voci incontrollate di perdita di liquidità, fallirono in meno di 24 ore per l'afflusso enorme di utenti che volevano indietro i propri soldi: tutto falso naturalmente ..... ma bastò a farle chiudere e a farle entrar nel sistema FED dove furono facile preda dei soliti noti di cui sopra) c'erano problemi sollevati riguardanti chi dovesse rimanere con il cerino acceso: l'esito quella volta fu "spiacevole" per questi criminali perchè anche se lo Stato voleva farlo c'era il "pericolo comunista" alle porte e gli americani potevano trovare attraente cambiare rotta.. quindi Roosvelt tenne duro sventolando il classico drappo davanti ai suindicati riuscendo a imporre tasse altissime ai certi ricchi e staricchi (le tasse sul patrimonio di questi qui raggiunse in certi periodi anche il 200% del valore pre-crisi) e con i soldi creò l'esperimento della Tennesee Valley Authority, il famoso "fare un buco per poi ricoprirlo", dove riuscì a dare forti iniezioni all'economia reale applicando, quasi alla lettera, le teorie di Keynes..... erano le basi del moderno Welfare e della rinascita dell'economia. Con la II° guerra mendiale (...) uscirono dalla crisi. Ora la situazione si ripete, per l'ennesima volta e il gioco del cerino è ripreso: solo che non c'è nessun pericolo all'orizzonte, solo .... frustrazione, povertà e tutto quello che i padroni del vapore riescono a propinarci!

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