dal Fatto Quotidiano del 24 / 5 / 2015 a firma di Alessandro Cannavale
A partire dagli anni ’50, con l’istituzione della Cassa del Mezzogiorno,
si inaugurò una politica di interventi straordinari per la soluzione
dell’annoso problema del dualismo Nord-Sud. Il divario nel Pil pro
capite tra Nord e Sud era ormai drammaticamente esploso dopo la Seconda
Guerra Mondiale. Lo si legge bene in questo grafico, tratto da una
interessante pubblicazione di Antonio Lepore per la Rivista giuridica del Mezzogiorno, che cita, a sua volta, uno studio dei ricercatori V. Daniele e P. Malanima
Si osserva chiaramente il doppio cambio di passo peggiorativo, in concomitanza coi due conflitti mondiali.
Queste le premesse che portarono alla decisione di creare un ente ad
hoc per fermare l’acuirsi del divario crescente. Un articolo molto
interessante della ricercatrice Anna Spadavecchia, dell’Università di
Reading (UK), dal titolo “Regional and national industrial policies in Italy, 1950s–1993. Where did the subsidies flow?”,
fornisce dei dati scientifici molto interessanti. E’ davvero il caso
di tratteggiarli, in modo essenziale, rimandando a una indispensabile,
più attenta lettura del testo completo.
Obiettivo
dello studio è quello di spiegare i ridotti “achievements” del Sud
Italia, ossia i minori risultati, soprattutto a partire dagli anni
Settanta. Vengono esaminati i flussi di sussidi regionali
disponibili, in quel periodo, con quelli disponibili a livello
nazionale, per le politiche industriali. Lo studio evidenzia bene come,
a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, l’industria
localizzata nelle zone più prospere d’Italia, (il Nord-Ovest), fu
oggetto di un maggior flusso di crediti, e illustra come queste
politiche abbiano inficiato il conseguimento di obiettivi significativi
nel Mezzogiorno a partire da quegli anni. Ciò
perché la priorità era evidentemente mutata: non più ridurre il
divario tra Nord e Sud del Paese, perché “the new priority was to boost
the national economy and its exports”. Sorprendente, se si pensa che
alcuni movimenti politici hanno fatto della lotta alla Cassa del
Mezzogiorno il proprio maggiore sostentamento, nei primi anni Novanta.
Scrive ancora Anna Spadavecchia: “Even taking into account the more
generous conditions attached to soft loans in the South and estimating
the ‘gift’ element within soft loans, the North-West remains the main
beneficiary in the post-1976 period”. Riporto, di seguito, il grafico corrispondente nell’articolo, per una più immediata comprensione di quanto detto.
Non doveva essere questo l’obiettivo di chi aveva pensato alle politiche di “intervento straordinario per il Sud”
che, nei primi due decenni di esercizio (Anni 50-60), avevano avuto
quantomeno il merito di mettere il Sud all’inseguimento del Nord, di
cucire il paese diviso e lacerato internamente, di spezzare la spirale
di povertà innescata nel Sud. Penso a Pasquale Saraceno,
che fondò nel 1946 l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel
Mezzogiorno (Svimez), assertore dell’utilità di fondare la Cassa per il
Mezzogiorno, convinto del fatto che l’economia di mercato non avrebbe
potuto da sola innescare la riduzione dei divari tra le regioni del
Paese, ormai esasperatamente evidenti.
Scriveva Saraceno,
con profetica lucidità, visto quel che succede proprio in questi
giorni: “l’intervento straordinario è necessario fin quando l’economia
italiana risulterà composta di due sistemi, caratterizzati da modelli di sviluppo diversi;
ignorare e negare questo persistente dualismo significa conformare
l’azione pubblica esclusivamente al modello del sub-sistema più forte,
consumando così una sostanziale sopraffazione degli interessi del
sub-sistema più debole”.
O, forse, ebbe ragione, nei fatti, Giorgio Amendola,
quando scrisse, nel 1957, avverso l’istituzione della Cassa, le
seguenti parole: “Ora, in queste condizioni, un ente che volesse
attaccare le condizioni ambientali di arretratezza economica, e trattare
il Mezzogiorno da zona depressa, isolando queste condizioni da quelle
più generali, sociali e politiche, non solo non riuscirebbe a piegare e
a vincere questa arretratezza, ma la consoliderebbe, perché,
sviluppando la sua azione nel quadro degli attuali rapporti di classe,
svolgendo la sua azione nell’indirizzo voluto dall’interesse dei ceti
dominanti, ne rafforzerebbe, in ultima analisi, le posizioni di
privilegio e di sfruttamento, ribadendo le catene che tengono legate le
popolazioni meridionali”.
Inutile affidare al carnefice le sorti della vittima, in sostanza.
p.s.
ne
parlavo domenica, vero? Bè.... come non aprire gli occhi? Oggi
trattaano l'intero paese come finorahanno trattato una buona metà del
paese.
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