E' una canzone su Nuvolari, quella di Lucio Dalla, ma a volerla leggere in un'altro modo è un'inno alla velocità e agli anni folli che stiamo vivendo dove gli uomini hanno inventato le macchine per sollevarli da lavori duri e ne sono rimasti schiavi in nome del profitto, dell'arricchimento, del benessere di pochi a scapito di molti. Veoce sempre più veloce è il ritmo. L'uomo può reggerlo, senza dare segnali di follia e alienazione singola e collettiva, e può reggerne l'anomia? E' in grado di staccare la spina e fermarsi a guardare le stelle? Oppure la spina, nell'era tecnologica e digitale, viene staccata all'essere umano che da senziente diventa ausilio alla macchina che compie il lavoro più celermente e meglio? L'industrialismo (basato sul taylorismo che tanto piace ai leninisti bolscevichi e non solo a loro ma anche ai loro nipotini "degeneri o meno") e l'era digitale che cosa sono se non quello che preventivano chi fin dall'inizio ne intravedeva effetti, distorsioni e impazzimento del rapporto fra produttore e prodotto? Provate a sentire la canzone di Dalla e poi associatela e al filmato (che è un frammento di un film che si chiama Koyaanisqatsi (la parola proviene dalla lingua Hopi che è una tribà nativa americana) che fa parte di una trilogia che è un vero affresco sulla società moderna di G. Reggio alla fine del post, dove tutto è accelerato e poco spazio rimane per "chi" ha creato tutto ciò: un'ingranaggio che una volta messo in moto non ha bisogno del creatore, anzi lo stritola e lo riduce a parte dello stesso meccanismo. Osservateli e riflettete.
2 commenti:
leggere l'intero blog, pretty good
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