sabato 22 settembre 2007

Missione all'italiana

Dopo la morte di Gemayel, come ho scritto su un precedente post, per il Libano si apre un peirodo di grande incertezza, un pò per la situazione internazionale (USA indeboliti e sempre più impantanati in Irak, Europa che decide di non decidere, ecc.), sia per la situazione dello scacchiere mediorientale dove ad Israele, anch'esso impantanato nella "guerra" agli integralisti islamici nella striscia di Gaza (attraverso il discutibile rito degli omicidi mirati), si contrappongono Siria (coinvolta, pare, nell'omicidio di cui sopra, anchw se pare strano ora che questo paese stava aprendosi uno spiraglio nella diplomazia internazionale non vorrei che ci fosse una "manina" esterna che ha tutto l'interesse a che la Siria stessa rimanga nel ruolo predefinito) ed Iran (dove la Cia, rilanciata dal new yorker, dubita che ci siano in corso produzione di uranio arricchito per uso militare, anche qui un dubbio rimane) che si possono definire i giocatori di una partita che già nel martoriato Irak sta facendo precipitare nella guerra civile le varie etnie e confessioni, e che ora ha spostato l'attenzione sull'altro anello debole dello scacchiere appunto il Libano. La maggioranza antisiriana ha ora l'agio politico di poter spingere da un lato per tener su un Governo che ne è l'espressione e marginalizzare dall'altro la parte sciita della popolazione (che è maggioranza in proporzione agli altri), con conseguenze che si possono facilmente prevedere una fra tutte la destabilizzazione del precario equilibrio raggiunto in questi anni e che gli ha dato un periodo pace, anche se più formale che sostanziale, e a cui ora sembra dire addio. In tutto questo contesto la nostra linea politica in campo internazionale ha subito un'oscillazione vigorosa da un'appiattimento sulle posizioni americane che prima di valutare (facendo rimpiangere la realpolitik dei kissinger, che pur dei santarellini non erano) le conseguenze delle loro azioni hanno distruto la struttura dello Stato irakeno senza essere in grado di costruirne un'altra e vivacchiando sul loro ruolo di liberatori, quindi dicevo da una posizione avventurista ad un aopposta dove ci siamo fatti promotori della forza d'interposizione nel sud del Libano con un mandato che dire poco chiaro è dir poco. Ora la situazione si è aggravata il paese rischia di destabilizzarsi e i nostri soldati rischiano di trovarsi fra l'incudine della tensione libanese e il martello israeliano e di pagarne, insieme alle altre forze presenti, lo scotto maggiore: queste furono valutate quando fu deciso di mandarli in quel paese? O si è fatto, come al solito una valutazione più d'immagine ad uso interno (guerre buone e guerre cattive), che oggettiva delle conseguenze a cui si andrà incontro se precipitano gli eventi? Io sono convinto, che come dice la nostra Costituzione (art.11), il nostro paese non debba partecipare ad scenari di guerra e quindo noi dovevamo restare, a partire dalla guerra balcanica, fuori a tutti i conflitti cui invece ci siamo buttati, e nè fare da base logistica alle inziative altrui. La penso come Strada, in una parola, non sono "un" pacifista, ma sono contrario alla guerra in tutte le sue forme, in questo senso sì sono un pacifista

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