martedì 18 settembre 2007

Comunismo, comunismi,...... ?

Mi rendo conto che parlare di certe cose si rischia di essere anacronistici, a esser buoni, o di essere "comunisti" (come insulto") ma ci voglio provare ugualmente. Cominciamo col dire che il comunismo, così come viene visto e definito oggi, non è mai esistito e nè credo mai esisterà; rappresentava un'idea, un simbolo, un'aspirazione, verso la quale molti popoli (o parte di essi), particolarmente quelli meno fortunati, meno baciati dal progresso, o se facenti parte della parte fortunata quelli che ne venivano tagliati fuori guardando gli altri arricchirsi. Il significato del termine è antico, già Platone ne parlava quando nella Repubblica disegnava l'abolizione della proprietà privata (anche se poi metteva il potere nelle mani della classe intellettuale, un'avanguardia, forse antesignano dell'URSS?); ma la corrente, che qualcuno definì "autoritaria e assolutista", è continuata nel corso dei secoli passando dal primordiale comunitarismo alla Riforma protestante, dalle correnti dei primis secoli cristiane fino alle "reducciones (spero di averlo scritto bene non conosco lo spagnolo)" dei gesuiti in america latina; tutte più o meno designavano l'obiettivo (o l'utopia: Tommaso Moro, o La città del Sole di T. Campanella, ma anche J.J.Rousseau anche se qui avrei qualcosa da ridire perchè all'autore non erano ignote le condizioni sociali ma propugnava una dittatura della maggioranza e non una società degli eguali) di una società egualitaria, dove ci fosse solidarietà e pari condizioni con un passaggio verso la soddisfazione dei bisogni senza oppressione di altri simili. Ma è con la rivoluzione industriale che questa corrente emerge dalla corrente carsica e viene codificata, da un lato per le spaventose condizioni di vita e di lavoro, oltre lo sradicamento dei contadini, che il nascente capitalismo imponeva (ed impone solo che oggi si chiama Globalizzazione e delocalizzazione) per poter portare a frutto il profitto dell'investitore. E' nel '800 che la corrente ha l'imprimatur "scientifico" con Marx ed Engels che alla base della loro riflessione pongono da un lato lo studio e la critica del sistema capitalistico (con i suoi difetti "genetici" che lo porteranno all'autodistruzione, "il mostro che divora se stesso") elaborando teorie e logiche economiche che ancora oggi sono usate (anche dai suoi detrattori non è un caso che quando si parla di profitto e concetto di valore, aggiunto o meno, è a "Karl" che si rende onore) sono alla base della scientificità, presunta o no, della loro idea, e dall'altro l'elaborazione di una "filosofia" a supporto dell'altra che preconizza la nascita di una società che partendo da una dittatura del proletariato porta ad una società di eguali ecc. L'idea propugnata è stata combattuta sia a destra (per ovvie ragioni) che a sinistra (anarchici, che forse un pò di ragione ce l'avevano visto che notavano una contraddizione in termini quando nella teoria marxista leggevano che la dittatura di una classe sull'altra non era sintomo dello scopo ma il nascere di una nuova classe privilegiata: URSS di nuovo): forse mai nella storia moderna un'idea è stata così combattuta e discussa come quella marxista, mai ha così sollevato passioni esasperate e odi così profondi, in ogni caso che piaccia o meno ha permaeato il pensiero (in negativo ed in positivo) di la da venire. Discutibili sono state le sue applicazioni successive (in URSS ad esmpio agli albori della Rivoluzione d'ottobre, ci fu una discussione molto accesa se la dittatura del proletariato dovesse a sua volta essere "guidata" da un partito di rivoluzionari di professione - elitè della elitè, Marx l'avrebbe criticato di sicuro questa impostazione - che si ponesse all'avanguardia di esso e guidasse il passaggio, come è finita l'abbiamo visto, e Trotski che invece nella rivoluzione permanente vedeva, invece, la possibilità che l'individuo guidasse la transizione senza strutture e sovrastrutture di sorta, mentre già alcuni fra i quali Stalin e Zinoviev propugnavano "il socialismo in un solo paese"), che, a mio parere, si sono allontanate molto dall'originario corso delle idee marxiste (ecco perchè penso che associare lenin e gli atri a Marx sia un'errore, un madornale errore). Sono sicuro, come dice anche Aaron, liberale quindi non imputabile di comunista, Marx era fondamentalmente un ribelle che si opponeva alla condizione di sofferenza che vedeva intorno, ma lo era, e lo sarebbe stato, anche contro chi cercava di forzarne le idee "ed avrebbe fatto un falò delle storture ideologiche successive a lui...... se solo le avesse potute leggere". (J. P. Aaron storia del pensiero sociologico). Essendo questo un post successivo a quello che sulla base di un libro di un filosofo francese appena uscito, in cui si dipinge un Marx "quasi liberale" cosa cui non credo, anche se sostengo, e con forza, che proprio grazie a Marx il capitalismo ha conosciuto se stesso e la sua natura: non dico che ne fosse il teorico economico/politico (le sue teorie che tentò di applicare nel "gioco" di borsa risultarono fallimentari) ma un'attento osservatore si: forse quelli che lo denigrano in pubblico oggi, che non perdono occasione per dirne tutto il male possibile (con la coscienza sporca in quanto è come se Einstein, Fermi ecc. fossero responsabili dell'uso militare della bomba atomica lanciata dagli americani sui giapponesi, però per loro la storia ha fatto giustizia dimostrando che Einstein si oppose al suo uso), in privato lo studiano e lo leggono avidamente per capire se stessi e il mondo cui appartengono. Il problema vero è che la corrente egualitaria e comuni(tari)sta è sempre stata presente nella storia umana è una sua aspirazione di fondo: la questione è se gli eguali devono essere in pochi (come oggi) o tutti (come nell'utopia e poi in Marx).Dimenticavo le fonti: Wikipedia per la successione storica; idee personali per la elaborazione.

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